L'intento di questo libro

 

Staziono spesso in Assisi, e incontro tante persone che vengono là da ogni parte del mondo, attratte più o meno consapevolmente dall'affascinante figura di Francesco, di cui tutti colgono almeno i tratti di  uomo veramente libero e capace di vero amore.

Ma pure non poche sono le deformazioni che, più o meno volutamente, molti hanno e danno del Santo. Per cui da tempo mi ero riproposto di scrivere qualcosa soprattutto per i tanti pellegrini e/o turisti che affollano Assisi ( più di cinque milioni l'anno), perché possano conoscere  e gustare il vero San Francesco, traendone così qualche beneficio spirituale.

L'impulso definitivo per  mettere risolutamente mano a questo libro, che ho pensato di pubblicare progressivamente on line (aperto a possibili osservazioni di chi lo legge), è stato un evento avvenuto ad Assisi, al Sacro Convento di San Francesco il 29 Marzo 2019. I Francescani  hanno consegnato la lampada della pace ad Abdullah II, re di Giordania, per le sue benemerenze nell'accoglienza dei profughi e nel promuovere armonia tra le varie religioni.  Sono rimasto stupito - a dir poco- dalle parole dette in quella circostanza  da chi presiedeva la cerimonia, in riferimento all'incontro tra San Francesco e il Sultano : "Francesco d’Assisi volle recarsi, intrepido e munito solo dello scudo della fede, nell’accampamento del Sultano d’Egitto, Mailk al-Kāmil, che era impegnato a Damietta  nel quadro dello scontro armato che vedeva contrapposti cristiani e musulmani.. Non si sa che cosa si dissero Francesco e Mailk al-Kāmil. Tuttavia, essi sono silenziosi testimoni del potere benefico della parola che costruisce ponti e crea un’esperienza autentica di dialogo.... " Non si sa che cosa si dissero"?!! E' vero l'opposto! Quanto è intercorso tra Francesco e il Sultano d'Egitto lo sappiamo benissimo, perché è riportato ampiamente nelle Fonti Francescane,  il prezioso volume uscito nel 1997   - l'anno del terremoto di Assisi - che riporta gli scritti di San Francesco e autorevoli biografie e cronache della sua vita.

Per quanti vogliono conoscere il vero San Francesco e la sua vera storia,  queste  Fonti Francescane costituiscono  un manuale sicuro:  un po' come la Bibbia per  chi vuol  conoscere il vero Dio.

Mi sono chiesto se i Francescani ,per arrivare a una così paradossale affermazione -non si sa cosa si dissero- reputino le Fonti Francescane poco  attendibili e  non affidabili, perché di quello storico incontro le Fonti ne parlano diffusamente, a cominciare innanzitutto dalla biografia" ufficiale" di San Francesco scritta da San Bonaventura da Bagno Regio, su cui si  basò Giotto nel  realizzare  i 28 affreschi che ne illustrano la storia nella Basilica Superiore di Assisi.

Il problema è che oggi c'è indubbiamente la tendenza, da parte di certi storici e ricercatori. di screditare e mettere in dubbio tante cose  riportate nelle Fonti Francescane, per dare spazio alle loro stravaganti versioni. Ti vogliono convincere  che  il lupo che San Francesco ammansì a Gubbio non era un pericoloso animale, ma un pericoloso brigante soprannominato "Lupo". E che gli uccelli a cui Francesco predicò (non solo nelle piana di Assisi, ma anche a Roma, e altrove) era in realtà la povera gente a cui il Santo si rivolgeva. E così via, in una sorta di delirio di uomini ricchi di cultura ma poveri di fede. Sembra che questi eruditi facciano a gara per confutare tutto ciò che sembra troppo miracoloso, come se la mano dell'Onnipotente potesse arrivare fino a un certo punto ma non oltre... Un po' come quei Sadducei  che non credendo nella resurrezione dei morti, adducevano cavilli teologici per confutarla; e  il Signore li rimproverava dicendo loro:"Voi  vi ingannate, non conoscendo né le Scritture né la potenza di Dio" (San Matteo, 22:29)

Purtroppo la fede manca anche a tanti religiosi, che perciò si accodano alle tesi di questi maestri del dubbio, e leggono con occhio critico - e incredulo! - le  tante solide testimonianze che abbiamo su San Francesco. Fino a dire: "Non si sa..."

A meno che - dubbio un po' malizioso - chi ha avuto il coraggio di "oscurare" le parole intercorse tra Francesco e il Sultano, l'abbia fatto volutamente per difendere la falsa immagine che va tanto di moda di un San Francesco dialogante e conciliante con tutti, antesignano del pacifismo e del dialogo interreligioso .

Ci soffermeremo sul racconto che San Bonaventura ha fatto dell'incontro tra San Francesco e il Sultano d'Egitto, sicuri di leggere un resoconto vero e attendibile. San Bonaventura , vescovo e cardinale, fu una persona di grandissimo spicco nella Chiesa, eminente filosofo e teologo, proclamato Dottore della Chiesa ( fu chiamato "Dottor Serafico") .

Le Fonti Francescane riportano due biografie che scrisse su San Francesco, di cui una più breve perché ad uso liturgico. Queste biografie, come altre che si leggono nelle Fonti, sono presentate con con l'infelice titolo di "Leggende": sono chiamate Leggenda Maggiore e Leggenda minore di San Bonaventura; ma poi nelle Fonti c'è anche la Leggenda Perugina, e la Leggenda dei tre compagni.  Non comprendo perché i curatori di quest'opera si ostinino a usare termini che possono compiacere l'erudizione dei colti - per i quali è chiaro che leggenda significa "cose da leggere"- ma confondono i semplici, che per "leggenda" intendono un racconto più o meno fantasioso e romanzato. E pensare che San Francesco, che amava definirsi "ignorante e illetterato", componeva non in latino - la lingua "ufficiale" del tempo-  ma in italiano le sue opere, tra cui il suo meraviglioso Cantico delle Creature.

Riporterò qui di seguito un ampio brano del capitolo 9° della "Leggenda Maggiore" che riferisce fedelmente di quell'incontro, tra l'altro sulla scorta della testimonianza resa  da frate Illuminato, il frate che accompagnò Francesco in quell'avventuroso e intrepido viaggio.

Noi rileggeremo, con la stessa semplicità che anche animava Francesco, la vicenda del suo incontro col Sultano, gustando il racconto fatto da San Bonaventura. Quando è un santo che scrive di un altro santo, beh allora ci possiamo fidare che abbia riportato il vero. Non solo perché un santo non mente, ma anche perché, a differenza di tanti eruditi storici, San Bonaventura aveva lo stesso spirito che animò Francesco , e che manca invece a tanti uomini di cultura: lo Spirito Santo!

Gustiamoci dunque questo racconto. Dove potrà essere utile, citerò altre testimonianze relative a quello storico incontro Aggiungerò man mano alcune riflessioni in merito, volte a cogliere insegnamenti che ci possano essere utili, anche alla luce del difficile confronto tra Cristianesimo e Islam. La nostra lettura  vuole avere un taglio "devozionale": pur così distanti dalla fede, speranza e carità di San Francesco, vogliamo imparare qualcosa da lui, che serva per il nostro bene spirituale. Non incorrendo nel pericolo da cui Francesco stesso  diceva di volersi guardare:"è grande vergogna per noi servi di Dio, che i santi abbiano compiuto queste opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il semplice raccontarle!" (FF Regole ed esortazioni, 155)


Di fronte al Sultano

San  Francesco giunse fortunosamente alla presenza del Sultano d'Egitto nell'autunno del 1219.Si stava realizzando un suo sogno, lungamente vagheggiato. Un sogno duplice: "a sei anni dalla sua conversione" scrive San Bonaventura "infiammato dal desiderio del martirio, decise di passare il mare e recarsi nelle parti della Siria, per predicare la fede cristiana e la penitenza ai saraceni e agli altri infedeli"

Ci sono diverse cose, in questo brano, che suonano ostiche alla nostra mentalità di credenti del 21° secolo. La prima è che San Francesco voleva predicare ai musulmani la fede cristiana e la penitenza. E' già tanto che qualche coraggioso cattolico oggi  ardisca annunciare la morte del Signore e proclamare la sua risurrezione  a un mondo Islamico che nel Corano legge che Gesù non è morto in croce, e quindi non è nemmeno risorto. Tantomeno l'Islam crede nella divinità del Signore Gesù e nella Trinità in cui il nostro Dio si è manifestato.
Ma quanto al predicare la penitenza, agli orecchi di tanti questo suona come un linguaggio arcaico, medievaleggiante: la stessa parola penitenza è una parola oggi misconosciuta o comunque molto travisata nel lessico della Chiesa. Eppure San Francesco proprio di questo parlava costantemente  nelle sue prediche: “Fate penitenza, fate frutti degni di penitenza... perseveriamo nella vera fede- e lui per vera fede intendeva quella Cattolica - e nella penitenza, poiché nessuno può salvarsi in altro modo..." D'altronde  Papa Innocenzo III dette a San Francesco la sua benedizione e il consenso alla sua regola e al suo intento missionario  con queste parole: "
Andate con Dio, fratelli, e come Egli si degnerà ispirarvi, predicate a tutti la penitenza" (Tommaso da Celano, Vota Prima, XIII 375).

Ci sarebbe molto da dire sul perché la Chiesa oggi predichi più la fratellanza universale che la penitenza. La penitenza scaturisce dalla consapevolezza della santità di Dio, della colpevolezza umana (di ogni uomo, di qualunque credo e religione), e del giudizio di Dio che incombe su questo mondo. e su ognuno di noi al momento della nostra dipartita da questa vita terrena. Dal quale giudizio solo Gesù può salvarci perché, come predicavano gli apostoli "in nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" (Atti degli apostoli 4:12).

 Da vero apostolo del Signore San Francesco voleva obbedire al mandato affidato da Gesù ai suoi apostoli prima di salire in cielo: "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura.  Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato" (Marco 16:15-16).
Ma questa missione è oggi molto disattesa dalla Chiesa, che parla così poco di condanna e di salvezza.

Ma un'altra cosa che ci ancor più difficile di comprendere nel racconto di San Bonaventura sulla missione di San Francesco in Egitto, è  quel suo essere "infiammato dal desiderio del martirio" . Dovremmo rifletterci almeno un po', noi che siamo così tiepidi e poco propensi a soffrire per amore di Gesù. Perché questo voler soffrire "per Cristo e con Cristo " vissuto in modo così estremo da San Francesco, ma in fondo prima di lui e dopo di lui da tutti i Santi, anche se in modi e situazioni diverse si deve realizzare in ogni vero cristiano. "A voi è stata concessa la grazia" scriveva San Paolo alla Chiesa di Filippi "non solo di credere in Cristo; ma anche di soffrire per lui". Ed è scritto che come credenti in Cristo e figli di Dio per lo Spirito Santo che abita in noi "siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze (letteralmente: se veramente soffriamo con Lui) per partecipare anche alla sua gloria"(Lettera ai Romani, 8:17).

Gesù è stato molto chiaro sulla necessità che chi vuole seguirlo ami lui più ogni altra cosa o persona, perfino della propria vita Faremmo bene a rileggere e meditare ogni tanto  queste parole del Signore così perentorie (Matteo 10:37-39):  " Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me.  Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà". Per causa mia: cioè per amore suo. Questa è la chiave di lettura dell'episodio che stiamo trattando, ma in fondo di tutta la vita di San Francesco, come anche di quella di tutti  i Santi. Ed è in fondo l'amor di Dio la parola chiave del Cantico delle creature: Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione.Beati quelli che ’l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati.

 

continua ...

Massimo Coppo

 

 

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